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venerdì

LEZIONI AMERICANE


Non è un paese per vecchi visto da Giorgio Cracco

  1. Grazia: Jerome David Salinger, The Catcher in the Rye, 1951.
  2. Ritmo:  Jack Kerouac, The Subterraneans, 1958.
  3. Profondità: Charles Bukowski, Notes of A Dirty Old Man, 1969.   

Incipit:

  • Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto.

  • Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora; in altre parole questa è la storia di uno sfiduciato che non è piú padrone di sé e insieme la storia di un egomaniaco, per costituzione e non per facezia — questo tanto per cominciare dal principio con ordine ed enucleare la verità, perché è proprio questo che voglio fare. — Cominciò una calda notte d'estate, sì, con lei seduta su un parafango quando Julien Alexander che sarebbe… Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei di San Francisco.

  • un figlio di puttana si era rifiutato di scucire il grano, tutti che dicevano d'essere al verde, il pokerino era finito, io ero lì seduto col mio fratellino Elf, Elf era un ragazzo svampito, svaccato in toto, era stato a letto per anni a spremersi le palle gommose, a fare esercizi folli, e quando poi era sceso dal letto era più largo che lungo, un bruto sorridente tutto muscoli che voleva fare lo scrittore ma suonava un po' troppo come Thomas Wolfe e, a parte Dreiser, T. Wolfe è proprio il peggior scrittore che sia mai nato in America, e io colpii Elf dietro l'orecchio e la bottiglia cadde giù dal tavolo.


Alea iacta est: il Dadaismo e la sua negazione __________


 



La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (traduzione di La Mariée mise à nu par ses célibataires, même), chiamato anche Grande Vetro: 1915-1923 . . .

lunedì

Quando si è adulti


Pangea


novembre 2012


di Giacomo Sartori


Quando si è adulti bisogna fare gli adulti, anzi l’occupazione principale diventa proprio quella: si ha da manifestarsi adulti in ogni evenienza e circostanza, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi prezzo, e anzi meglio si fa gli adulti più si è considerati e ci si autoconsidera davvero adulti. Il reale interlocutore di ogni adulto è lo specchio: è in primo luogo di fronte a se stessi che bisogna mostrarsi adulti, se si vuole convincere anche gli altri. Si fanno passi in avanti, ci si specializza e perfeziona, acquistando a volte uno statuario sorriso che ricorda la maschera ironica ma anche gioiosa di Ben Gazzarra. Quando si è davvero imparato, e si comincia a essere soddisfatti di se stessi, ci si accorge che si è ormai vecchi. Che si sta per morire.
Uno la tira più lunga possibile, tergiversa e strascica i piedi, ma poi finisce che si ritrova adulto. A me è capitato di notte, una notte ben precisa: era buio, la persona vicino a me dormiva, dal giroscale del caseggiato saliva un vuoto più risucchiante del solito, più geologico, e io mi sono accorto che era successo. Mi sono accorto che era finita. Non che mi fossi particolarmente divertito o entusiasmato, intendiamoci, ma era lo stesso finita. Dovevo cominciare a fare l’adulto. Ho subito sperimentato l’angoscia del neofita adulto.

Camus e il futuro dell’Europa


Anniversari: Albert Camus l'umanista in rivolta | AlbengaCorsara News

di Albert Camus, da Repubblica, 11 novembre 2012 


Se riteniamo che la civiltà occidentale consista soprattutto nell’umanizzazione della natura, cioè nelle tecniche e nella scienza, l’Europa non solo ha trionfato, ma le forze che oggi la minacciano hanno mutuato dall’Europa occidentale le sue tecniche o le sue ambizioni tecniche e, in ogni caso, il suo metodo scientifico o di ragionamento. Vista così, in effetti, la civiltà europea non è minacciata, se non da un suicidio generale e da se stessa, in qualche modo.

Se, viceversa, riteniamo che la nostra civiltà si sia sviluppata sul concetto di persona umana, questo punto di vista, che può essere altrettanto valido come lei ha ragione di sottolineare, porta a una risposta del tutto diversa. Vale a dire che probabilmente, dico probabilmente, è difficile trovare un’epoca in cui la quantità di persone umiliate sia così grande. Tuttavia non direi che quest’epoca disprezzi l’essere umano in modo particolare. Infatti contemporaneamente a queste forze, che definirei del male per semplificare le cose, non c’è dubbio che nel corso dei secoli si è progressivamente diffusa una reazione della coscienza collettiva e in particolare della coscienza dei diritti individuali.
Due guerre mondiali l’hanno soltanto un po’ logorata e credo sia ragionevole rispondere che la nostra civiltà viene minacciata nella misura esatta in cui oggi un po’ ovunque l’essere umano, viene umiliato.

A quest’utile distinzione posso aggiungere che potremmo chiederci, e parlo sempre al condizionale, se proprio il singolare successo della civiltà occidentale nel suo aspetto scientifico non sia in parte responsabile del singolare fallimento morale di questa civiltà. Per dirla diversamente se, in un certo senso, la fiducia assoluta, cieca, nel potere della ragione razionalista, diciamo nella ragione cartesiana per semplificare le cose, perché è lei al centro del sapere contemporaneo, non sia responsabile in una certa misura del restringimento della sensibilità umana che ha potuto, in un processo evidentemente troppo lungo da spiegare, portare poco alla volta a questo degrado dell’universo personale.

domenica

Lasciatemi fare l'eremita

Ermanno Cavazzoni ai Chiostri di S.Pietro - 7per24 | 7per24

C'è una via di fuga dalla rete?
L'elettronica ha dei vantaggi indubbi, non ne discuto. Ma è sempre più difficile la possibilità di ritirarsi dal mondo, far l'eremita. Ognuno nasce cittadino e ha un numero; non ce l'ha ancora sottopelle in un microchip come ce l'hanno i cani, che in ciò sono più avanzati e hanno accettato con lungimiranza il metodo; ma presto mi dicono che ce l'avremo anche noi dalla nascita e significherà l'appartenenza di ciascuno, volente o nolente, allo Stato, sarà come avere la targa, o un antifurto satellitare. Non ci saranno forse evasori, o delinquenti impuniti. Ma uno a un certo punto della vita dovrebbe avere il diritto di andarsene, questo distingue l'uomo dalla formica; a una formica l'eremitaggio non viene in mente, di appartarsi, scavarsi un suo buco e vivere in silenzio senza odio o rancori.
Io dico che è sacrosanto il diritto di stancarsi del consorzio umano e allontanarsene; se togliete questo diritto succedono poi gli eccidi inspiegabili, di chi fa saltare col gas l'appartamento e il condominio coi condomini dentro, perché della vita associata costui ad esempio non ne poteva più. Un tempo, senza dar spiegazioni, prima di compiere queste inutili stragi, un individuo esasperato da tutto partiva dall'oggi al domani: «Dove vai?». «Non lo so…» e andava in qualche dirupo dove si cibava di erba, e per completare la dieta aggiungeva larve di Sfingoidei (per esempio, di Acherontia o di Macroglossa) ricche di proteine, larve del salice (la Phalera bucephala), bruchi di coleotteri, che sono dolci: con uno spicchio di aglio selvatico (Allium Sativum) e un po' di salnitro, sapendo le dosi si ottiene un budino che sembra ricotta in agrodolce, un cibo ottimo e sano, adatto alla vita eremitica; se non basta, nei tronchi marci di quercia si raccolgono larve di cervo volante, ottime; e sotto le cortecce le larve del perdilegno (il Cossus cossus, mangiate anche da Plinio); le si può abbrustolire; quando scoppiano sono pronte, meglio di una bistecca che è piena di estrogeni.

venerdì

Fino a un certo punto

Samuel Beckett .... uno scrittore che amava il vino e e le donne


Sono tutte ipotesi, ciò serve a progredire, io credo nel progresso, credo nel silenzio, ah sì, qualche parola sul silenzio, poi il piccolo mondo, ciò basterà, per l’eternità, si direbbe che sono io, sono io a parlare, sono io a udire, sono io a fare progetti, per l’immediato, per l’eternità, mentre invece io sono lontano, o da qualche parte tra le mie braccia, o di fianco, dietro i muri, qualche parola sul silenzio, poi una cosa sola, un solo spazio con qualcuno dentro, qualcosa dentro, forse, fino alla fine, io ci credo, è già la sera, questa cosa la chiamo sera, stasera ci credo, è annunciato, prima si annuncia, poi si rinuncia, è così, serve per tirare avanti, per avvicinare la fine, le sere in cui c’è una fine, parlo di sera, qualcuno parla di sera, forse è ancora mattina, forse è ancora notte, forse fa ancora notte, io non ho opinioni in merito. Si amano, si sposano, per amarsi meglio, più comodamente, lui va in guerra, muore in guerra, lei piange, per l’emozione, di averlo amato, di averlo perduto, hop, si risposa, per amare ancora, più comodamente ancora, si amano, ci si ama quante volte occorre, quante volte occorre per essere felici, lui ritorna, l’altro ritorna, non era poi morto in guerra, lei va alla stazione, lui muore in treno, per l’emozione, all’idea di rivederla, lei piange, piange ancora, ancora per l’emozione, di averlo ancora perduto, hop, ritorna a casa, lui è morto, l’altro è morto, la suocera lo stacca, s’è impiccato, per l’emozione, all’idea di perderla, lei piange, piange più forte, per l’emozione, di averlo amato, di averlo perduto, ecco una storia, era perché io sapessi cosa sia l’emozione, questo si chiama emozione, e cosa possa l’emozione, purché siano date condizioni favorevoli, cosa possa l’amore, allora è questo l’emozione, cosa sono i treni, i sensi di marcia, i capotreni, le stazioni, le banchine, la guerra, l’amore, le grida strazianti, dev’essere la suocera, lei emette grida strazianti, mentre distacca suo figlio, o suo genero, non so, dev’essere suo figlio, dato che grida, e la porta, la porta di casa è chiusa, di ritorno dalla stazione lei trova la porta chiusa, e chi l’ha chiusa, l’ha chiusa lui per impiccarsi meglio, o la suocera, per staccarlo meglio, o per impedire alla nuora di rientrare a casa, ecco una vera storia, dev’essere la nuora, non sono genero e figlia, sono figlio e nuora, come ragiono bene stasera, era per insegnarmi a ragionare, era per indurmi ad andarci, là dove si può aver fine, devo essere stato un buon allievo, fino a un certo punto, non sono riuscito a superare un certo punto, capisco che se la siano presa con me, stasera comincio a capire, non è male, non sono io, non ero io, la porta, è la porta che m’interessa, è fatta di legno, chi ha chiuso la porta, e per qual motivo, non lo saprò mai, ecco una vera storia, credevo fossero finite, tutte cadute nell’oblio, forse questa è nuova, fresca fresca, è il ritorno al mondo delle fiabe, no, solo un richiamo, in modo che rimpianga quello che ho perduto, che voglia star di nuovo là da dove sono escluso, sfortunatamente tutto ciò non mi ricorda niente. Il silenzio, parlare del silenzio, prima di rientrarvi, forse che ci sono già stato, non so, a ogni istante ci sono, a ogni istante ne esco, ecco che ne parlo, lo sapevo che sarebbe avvenuto, ne esco per parlare, ci son dentro pur parlando, se sono io, a parlare, e non sono io, faccio come se fossi io, ma a lungo, ci sono stato a lungo, un lungo soggiorno, non capisco niente in fatto di durata, non posso parlarne, ne parlo eccome, dico mai e sempre, parlo di stagioni e di parti della giornata e della notte, la notte non ha parti, è perché si dorme, le stagioni devono assomigliarsi tutte, in questo momento forse è primavera, sono delle parole che m’hanno insegnato, senza farmene vedere bene il senso, è così che ho imparato a ragionare, io le uso tutte, tutte le parole che m’hanno insegnato, erano delle liste, ah che strano calore tutt’a un tratto, erano elencate per liste, con delle figure a fronte, devo averne dimenticate, devo averle confuse tra loro, queste immagini senza nome che possiedo, questi nomi senza immagini, queste finestre che forse farei meglio a chiamar porte, o almeno in un altro modo, e questa parola uomo che forse non è quella giusta per quello che vedo quando la sento, ma un istante, un’ora, e così via, come rappresentarli, una vita, come farvela vedere, qui, nel nero, io lo chiamo il nero, forse è dell’azzurro, sono parole in bianco, ma io me ne servo, mi vengono, tutte quelle di cui mi ricordo, mi servono tutte, per poter continuare, non è vero, ne basterebbero venti, fedelissime, ben attestate, ben assortite, la tavolozza ci sarebbe, io le mescolerei, le varierei, la gamma ci sarebbe, quante cose farei, se potessi, se volessi, d’altronde accade tutto da solo, è così che andrà a finire, con grida strazianti, sussurri inarticolati, da inventare, volta per volta, da improvvisare, pur continuando a gemere, riderò, è così che andrà a finire, con risatine soffocate, dei glu-glu, degli ahi, ah, pah, mi sto esercitando, gnam, uh, plof, pss, dell’emozione pura, pan, paf, i colpi, na, toc, che altro ancora, aah, ooh, questo è l’amore, basta, è faticoso, hi, hi, queste sono le costole, di Democrito, no, di quell’altro, in fin dei conti, è la fine, la fine dei conti, è il silenzio, qualche glu-glu sul silenzio, quello vero, non quello in cui mi macero, immerso fino alla bocca, fino all’orecchio, che mi ricopre, che mi scopre, che respira con me come un gatto col topo, quello degli annegati, io mi sono annegato, diverse volte, non ero io, io mi sono asfissiato, mi son dato fuoco, mi sono picchiato in testa con del legno e con del ferro, non ero io, non c’era una testa, non c’era del ferro, non mi son fatto niente, non ho fatto niente a nessuno, nessuno m’ha fatto niente, non c’è nessuno, non c’è del legno, ho fatto ricerche, non ci sono che io, nemmeno, nemmeno io, ho cercato dappertutto, dev’esserci qualcuno, questa voce deve pur appartenere a qualcuno, io sono disponibilissimo, voglio tutto ciò ch’essa vuole, io sono lei, l’ho detto, essa lo dice, ogni tanto lo dice, poi dice di no, per me va bene, voglio che essa taccia, essa vuol tacere, non può, tace un istante, poi riprende, non è il vero silenzio, dice che non è il vero silenzio, che dire del vero silenzio, non so, che non lo conosco, che non ce n’è, che forse ce n’è, sì, che forse ce n’è, da qualche parte, io non lo saprò mai.

 [da L'Innominabile, in Samuel Beckett, Trilogia. Molloy, Malone muore, L’Innominabile;
traduzione e cura di Aldo Tagliaferri, Einaudi, Torino 1996]
 



giovedì

As a plastic bag: fin lì può arrivare -



Cees Nooteboom, AUTORITRATTO DI UN ALTRO, 1993  
http://nonostanterivista.wordpress.com/2011/04/11/volti-cees-nooteboom/

Thomas Newman, AMERICAN BEAUTY: original motion picture score, 1999
http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Newman


Viene portato in volo dalla canzone che continua a ripetersi, sirene che non concludono la loro seduzione, che lo lasciano in attesa ai confini del loro territorio. Così non può andare né avanti né indietro; fa la ronda nello spazio limitato che gli resta, grida la sua contrarietà nel cielo in fiamme. Vede ogni cosa: il topo tra i cardi, il roveto ardente, il cammino della sua ombra in catene. Il desiderio lo separa dai loro richiami, sente voci, non parole. La posizione delle ali è la sua unica libertà. Quando gli inviti si fanno più forti lui compie un rapido movimento verso l'alto per scoprire il loro nascondiglio. Poi le voci tornano a indebolirsi e si spostano verso la costa e il mare. Fin lì non può arrivare. La sera rompe l'incantesimo. Attraverso le seriche nebbie torna in volo al suo letto. Nel suo misero sogno la canzone si insinua nell'inquietudine, preghiere da un irraggiungibile convento femminile. Con la prima luce giunge il loro primo richiamo. Si alza in volo e si mette a caccia di quella preda che è lui stesso.


domenica

Allo specchio


Qualcosa si muove, Nicola Lagioia — Cattedrale - Osservatorio sul ...

Lunedì 29 Ottobre 2012 12:52 

Per chi voglia provare a comprendere qualcosa del caos italiano, cioè della solo apparentemente inconciliabile orgia di conformismo e anarchia che ci sovrasta e ci attraversa e ci appartiene con grande evidenza negli ultimi tempi – quella frana stucchevole che qualcuno prova a stringere al collare troppo stretto di formule (a propria volta molto furbe e molto povere) quali “declino” o “perdita di competitività” – un tentativo di messa a fuoco può consistere nel guardare all’oggi attraverso quattro vecchie opere d’ingegno che dell’Italia fecero la propria ragion d’essere.
Come quando, dall’oculista, la sovrapposizione di varie lenti (nessuna esclusa) porta a decrittare la successione di lettere che prima ci apparivano indistinte, osservare la scena italiana attraverso la lastra del Gattopardo, a propria volta piantata davanti a quella dei Viceré, dei Promessi sposi, e dietro questa quella che tutte le precede (il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani di Leopardi) dà finalmente a ciò che sembrava piatto e impenetrabile un’idea di tridimensionalità. A essere poco chiaro non è infatti ciò che accade in scena – le maschere di Grillo, Minetti, Berlusconi, Bossi, Polverini, D’Alema e così via sono di un’autoevidenza che lascia senza appigli – ma la possibilità stessa che un simile spettacolo non solo sia rappresentabile, ma trovi pure un pubblico pagante. Alla scena appartengono infatti anche comprimari e spettatori. Come dice il cantautore: “nessuno si senta escluso”. In Italia meno che mai.

Adesso apro il vetro . . .


 

Nostra Signora

 

28 ottobre, 2012



palazzomoresco




Attiguo a casa sua stava un palazzo moresco, denunciato dal salmastro, orientale come un riflesso sbiadito, scrostato sotto le volte degli archi e sulle cupole, abitato l’inverno da cristiani comodi che nell’estate pagana cedevano le due ali sul mare, per non morire di fame. Proclamata la fine dello stato d’assedio, quel palazzo sarebbe diventato il quartier generale dei turchi che, di tra le viole del cielo assolato, avevano ammainato le mezze lune.
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Di qua dai vetri caldi, appannati dal tempo del suo alito, la fronte, il naso, le labbra premute come un mosaico sui cristalli, inseguiva i gabbiani sfiorare il dilettantismo dei merli e delle guglie. Quella costruzione era un sunto di storia, oppure no. Era il suo carnefice convertito, proprio quando toccava a lui, cinquecento anni fa. Le esecuzioni degli ottocento e più martiri ebbero luogo in un campo di grano, e quei coloni inturbantati mieterono spighe d’oro ingemmate in cinabro, impazziti all’incanto di quella miniera di fede.
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In quell’occasione egli pensò che sarebbe stato facile incontrarsi un’ultima volta. Era un santo a pregarla. Perciò le aveva scritto: «vieni, stavolta è grave», e la risposta di lei fu: «stai tranquillo, ora non posso davvero, vedrai che tutto andrà». Pose il capo su un sasso e la sognò. Si ridestò che non lo avevano ancora decapitato. Guardò in alto, cercando il suo carnefice e lo trovò crocefisso. Gli spiegarono che era stato così punito perché aveva all’improvviso mutato fede. Poi gli dissero di levarsi e andarsene. Lui non aveva osato insistere, lo avevano umiliato, non c’è dubbio, ma l’avrebbe rivista.